sabato 28 gennaio 2017

Cos’è la «Proof of work» e perché chiunque voglia parlare di Blockchain deve conoscerla

Prima di disquisire se è meglio un sistema blockchain privato o pubblico, dobbiamo chiarirci su come raggiungere il consenso e cosa scrivere su quel registro. Questo è il tema che si tenta di descrivere qui. I sistemi pubblici usano la “Proof of Work (PoW)”, “la prova del lavoro”, cioè fanno fare a dei computer specializzati miliardi di calcoli al secondo per trovare la soluzione di un problema matematico. Sappiamo che essa è lenta, costosa, spreca risorse ed è inefficiente. Però è ritenuto un sistema sicuro, nel senso che non si può truccare il risultato senza effettivamente fare quel lavoro.

blockchain

La sicurezza NON è basata sulla matematica, ma sull’economia.

Il primo nodo che ha svolto il lavoro con successo ha due diritti: riceve una ricompensa economica e scrive il blocco delle transazioni sulla blockchain.

La PoW è un’àncora che lega questo sistema immateriale alle risorse fisiche con gli incentivi economici per chi svolge il lavoro. Il tutto si ottiene attraverso la spesa di risorse economiche esterne rispetto al sistema online. È il cosiddetto “sottostante” reale, sempre necessario in qualsiasi sistema che mira a evitare la generazione di valore basato sul nulla (tipo gli schemi Ponzi).

È questo lavoro (e il costo associato) che crea l’immutabilità delle transazioni scritte nel registro, non la blockchain.

Si parla spesso di immutabilità ma in realtà dobbiamo approfondirla perché ci sono tre fattori che la creano: politici, tecnici ed economici.

  • Politici, s’intende il rispetto delle regole software su chi può scrivere il blocco delle transazioni
  • Tecnici, se è realizzabile con la tecnologia a disposizione
  • ma il più importante di tutti è il disincentivo economico nel consumare una risorsa esterna al sistema (es. elettricità): è solo questo che rende improponibile la doppia spesa o la frode.

Per riepilogare: Internet si preoccupa del trasporto delle informazioni; con la prova del lavoro, otteniamo la sicurezza del trasferimento delle proprietà (grazie ai suddetti incentivi economici).
La blockchain di tipo pubblico è quindi una soluzione decentralizzata per risolvere il problema del trasferimento della proprietà di un asset da parte di un portatore anonimo. La trasparenza delle transazioni garantisce in tal modo la controparte dal problema della doppia spesa del bene.

Per questa ragione la blockchain di Bitcoin non è un “libro mastro” dove si deve registrare tutto, ma solo un semplice diario (log) che certifica quale transazione viene prima dell’altra.

Il sistema Bitcoin, per essere una rete tra pari, è disegnato in modo architetturalmente decentralizzato.

La decentralizzazione del sistema Bitcoin è:

  • Politica, perché non ci sono permessi da chiedere per entrarci. Non contiene né intermediari né alcuna gerarchia
  • Tecnica, perché non c’è un “single point of failure”, né tecnico né umano
  • Economica, perché la prova del lavoro è distribuita, non si basa su “un nodo un voto”, ciò richiederebbe l’autenticazione e per non correre rischi (es. il Sybil attack) allora bisogna provare di aver speso un capitale.

Nei sistemi blockchain privati, invece, gli utenti che possono accedere a una rete sono stati precedentemente identificati e i loro beni e transazioni sono registrati (non al portatore ma su un libro contabile), allora la proprietà è determinata dalla voce valida su quel registro. Di solito non c’è bisogno di una criptovaluta, poiché i soggetti che interoperano si conoscono e stabiliscono tra loro le regole e la distribuzione dei costi di funzionamento.

L’esatto opposto per le più famose criptovalute, come bitcoin, Ethereum e l’ultima nata in ordine di tempo Zcash, infatti esse sono completamente sganciate dal piano statuale, sono nate globali, non seguono i regolamenti KYC/AML, e continuano su quell’ideale libertario. Per queste ragioni non sono utilizzate dalle istituzioni finanziarie che devono rispettare una rigida regolamentazione.

La blockchain che usa bitcoin è un registro pubblico delle prove di possesso dello strumento da parte di soggetti anonimi.

Del resto, le risorse al portatore, per definizione, non registrano i loro proprietari in un registro.

Come con un qualsiasi bene al portatore, il solo possesso (anche anonimo) della chiave privata del portafoglio conferisce la proprietà del bene digitale.

Se ci limitiamo alle blockchain pubbliche, questo è l’obiettivo: con un sistema censorship resistant evitare la doppia spesa di un valore digitale al portatore. Ogni altro caso d’uso è (al momento) solo un altro database condiviso.

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Fonte: http://www.chefuturo.it/2016/11/cose-la-pow-e-perche-chiunque-voglia-parlare-di-blockchain-deve-saperlo-bene/

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