È come se automobili, moto e camion in Italia avessero due carte di identità. La prima, contenuta del Pubblico registro automobilistico (Pra), identifica la proprietà del veicolo. La seconda, che fa capo all’Archivio nazionale dei veicoli (Anv), registra la storia di una quattro ruote: l’anagrafica dei titolari o dei conducenti che l’hanno in uso, l’omologazione, i dati di immatricolazione, carte di circolazione, le autorizzazioni al trasporto merci e le informazioni su eventuali incidenti. I due archivi corrispondono ad altrettanti uffici: l’Automobile club d’Italia si occupa del Pra, la Motorizzazione civile dell’Anv.
Da qualche anno le due banche dati sono diventate vasi comunicanti. Chi entra nel Pra, può anche accedere all’Anv e viceversa. Se si richiede un certificato di proprietà all’Aci, nello stesso tempo si può ottenere la carta di circolazione dalla Motorizzazione civile. Ciononostante gli italiani devono di costante fare riferimento a due registri, che si spartiscono le informazioni sullo stesso veicolo (in alcuni casi le medesime) e svolgono compiti molto similari. Non ultimo, duplicano i costi per l’utente: l’Aci ha le sue tariffe, decise insieme al ministero dell’economia e delle finanze (Mef), la Motorizzazione quelle definite con il dicastero di riferimento, quello dei trasporti (Mit).
Per quanto tempo ancora devono convivere i due registri? Se lo domanda l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che ha spedito una segnalazione alla Presidenza del consiglio, a Mef, Mit e Aci. Per l’Antitrust è tempo che Pra e Anv confluiscono in un solo registro, in mano alla Motorizzazione civile. L’Autorità si limita a prendere atto di quello che prescrive la riforma della pubblica amministrazione del governo Renzi, la cosiddetta “riforma Madia”.
Il testo prevede la riorganizzazione “anche mediate trasferimento, previa valutazione della sostenibilità organizzativa ed economica, delle funzioni svolte dagli uffici del Pubblico registro automobilistico al ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con conseguente introduzione di un’unica modalità di archiviazione finalizzata al rilascio di un documento contenente i dati di proprietà e di circolazione”. Nascerebbe così una nuova agenzia dei motori che si occuperebbe di tutte le pratiche di un veicolo. Secondo il sito laleggepertutti, il governo potrebbe approvare la manovra entro la fine del mese.
Tuttavia la fine del Pra è stata spesso annunciata ma mai messa in pratica. Nel 1995 la rivista Quattroruote, spalleggiata dai club radicali di Marco Pannella e da alcune associazioni di consumatore, promosse un referendum per abolire il registro, ma fu bloccata dalla Corte costituzionale. Nel 2010 è stata la volta del deputato di Forza Italia Giorgio Jannone, che ha portato in Parlamento un disegno di legge rimasto nel cassetto. Tre anni fa l’accorpamento Pra-Motorizzazione rientra tra le priorità dello “Sforbicia-Italia”, il documento economico messo a punto dall’ex premier Matteo Renzi con l’allora commissario alla revisione della spesa, Carlo Cottarelli.
Tuttavia a febbraio del 2017 i due registri sono ancora vivi e vegeti. E il passaggio di consegne da Aci a Motorizzazione non è scontato, perché da oltre un anno i sindacati denunciano che il personale non riesce a sbrigare tutte le pratiche. L’Unione sindacale di base riporta il caso dell’ufficio di Sassari, dove per la revisione di un mezzo pesante il proprietario ha dovuto aspettare un anno e tre mesi.
A sua volta l’Antitrust segnala che il nuovo certificato di proprietà digitale (Cdpd) introdotto dall’Anci non ha semplificato la burocrazia, ma “risulta avere pregiudicato la cooperazione tra le banche dati Anv e Pra”. E questo perché per alcune pratiche, come il trasferimento di proprietà, serve un software disponibile solo dal canale Aci. “Ciò ha reso più evidente l’inadeguatezza di un contesto caratterizzato dalla presenta di due registri”, insiste il presidente dell’autorità, Giovanni Pitruzzella.
L’Antitrust ha acceso un faro sull’Aci. Ha scoperto che è lo stesso club a decidere chi abbia il diritto di accedere al suo registro pubblico e a che tariffe. Ha rilevato che se una pratica viene svolta da un operatore privato al posto di un ufficio pubblico, questi deve comunque pagare all’Aci le tariffe della prestazione “pubblica”, anche se poi deve occuparsi da sé del servizio. Infine ha bacchettato il club per le partecipazioni in affari e società che poco hanno a che fare con la sua natura pubblica. Aci ha quote nell’immobiliare Aci Progei spa, in Aci informatica, Aci global, che controlla il servizio di car sharing Guidami a Milano, Aci Infomobility, Aci sport, che si occupa di competizioni automobilistiche, Aci Vallelunga, che coordina la costruzione di impianti sportivi, la società di consulenze Aci Consult, le assicurazioni Sara, le compagnie di viaggi Ventura e Valtur, Cepim nella logistica e Arc Europe, per l’assistenza alle flotte aziendali.
Nel complesso il club ha quote dirette e indirette in trenta società. Il bilancio 2015 della gruppo si è chiuso con 20,9 milioni di euro di utile. Su questo impero tuttavia pende la scure del decreto legge 175 del 2016, che impone a società pubbliche o similari, come Aci, di disfarsi di tutte le partecipazioni “non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali”, ricorda l’Antitrust. Il club ha tempo sei mesi dall’entrata in vigore dei decreti attuativi. Tuttavia la bocciatura della riforma Madia da parte della Consulta ha rallentato l’applicazione della norma e ora il governo è impegnato a correggere le parti salvate dai giudici costituzionali, come quella che riguarda le società partecipate. La partita è aperta.
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Fonte: https://www.wired.it/economia/business/2017/02/09/italia-registro-pubblico-auto-aci/
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