martedì 27 dicembre 2016

Quel treno per il Nobel che portò Fermi a Stoccolma (e lontano dall’Italia)

Il treno con la famiglia Fermi era partito dalla stazione Termini per Stoccolma la sera del 6 dicembre 1938, se ben ricordo, attorno alle 21.

Era probabilmente il treno notturno 44, che come ogni sera partiva da Roma alle 21:40 diretto a Nord. Ma quello del 6 dicembre fu un treno molto particolare: quella sera, come scrive Edoardo Amaldi, fisico italiano vissuto tra il 1908 e il 1989 e all’epoca giovane collega di Enrico Fermi in via Pansiperna,

si chiudeva definitivamente un periodo, brevissimo, della storia della cultura in Italia che avrebbe potuto estendersi e svilupparsi forse avere una influenza più ampia sull’ambiente universitario e, con il passare degli anni, magari anche sull’intero paese. Il nostro piccolo mondo era stato sconvolto, anzi quasi certamente distrutto, da forze e circostanze completamente estranee al nostro campo d’azione.

Enrico Fermi

Proprio perché oggi le cronache parlano di chi a ritirare il Nobel non ci va, tornare a quella sera di dicembre ci ricorda quanto la consegna di quel riconoscimento sia non solo il coronamento di una carriera artistica o scientifica, ma sia stata talvolta anche  momento drammatico e snodo cruciale nella vita dei premiati. Su queste pagine ce lo ha recentemente raccontato Gabriella Greison, ricordando Marie Curie che per ritirare il Nobel sfidò lo scandalo a testa alta. Il viaggio verso Stoccolma del fisico Enrico Fermi è un altro esempio che vale la pena raccontare.

Enrico Fermi

I ragazzi di via Panisperna

I RAGAZZI DI VIA PANISPERNA

Subito prima della Seconda Guerra Mondiale, Enrico Fermi, non ancora quarantenne, era tra i fisici più famosi nel mondo. Studente geniale, a venticinque anni diventa titolare a Roma della prima cattedra di fisica teorica in Italia. Come scrisse la commissione che lo selezionò La commissione, esaminata la vasta e complessa opera scientifica del professor Fermi, si è trovata unanime nel riconoscerne le qualità eccezionali, e nel constatare che egli, pur in così giovane età e con pochi anni di lavoro scientifico, già onora altamente la fisica italiana. 

Ed è proprio a Roma che insieme ad Orso Maria Corbino costituisce quel gruppo di giovani e brillanti fisici che per un decennio diventò un riferimento per la fisica  e che sarebbe poi rimasto nella storia come “ i ragazzi di Via Panisperna”. Con quel gruppo Fermi compie le ricerche per le quali gli viene conferito il premio Nobel per la fisica nel 1938.

DA STOCCOLMA ALLA COLUMBIA UNIVERSITY

È il 10 novembre di quell’anno quando Fermi viene informato di aver ottenuto il prestigioso riconoscimento, ma in quei giorni le prime pagine dei giornali sono occupate da ben altro. L’11 novembre i maggiori quotidiani titolano a nove colonne sull’approvazione da parte del consiglio dei ministri di uno schema di decreto legge, proposto da Mussolini,  contenente i famigerati provvedimenti “per la difesa della razza italiana”. La notizia del Nobel a uno scienziato italiano è relegata nelle pagine interne anche perché Fermi, per il regime fascista, ha una macchia: la moglie Laura Capon è ebrea.

La situazione precipita. Fermi, che vedeva ridursi sempre più i finanziamenti e le opportunità di ricerca in Italia – a causa dell’autarchia e del crescente impegno militare – e nel frattempo era stato invitato a lavorare per sette mesi alla Columbia University di New York, decide di lasciare l’Italia. Da Stoccolma, dopo la cerimonia del premio, raggiunge Copenaghen per incontrare un altro famoso fisico, Niels Bohr, e si imbarca quindi per l’America alla vigilia di Natale del ’38.

Sempre Amaldi racconta che le critiche su Fermi, che già circolavano sommesse a  causa della sua situazione familiare, esplodono quando si viene a sapere che alla cerimonia di consegna del Nobel il fisico italiano si è presentato in frac invece di indossare l’uniforme fascista o quella di accademico d’Italia e ha salutato il re di Svezia con una stretta di mano e non con il saluto romano. Entrambe le scelte generano scandalo. Fermi, membro dell’Accademia d’Italia – l’istituto scientifico culturale di regime voluto da Mussolini stesso – avrebbe dovuto seguire rigidamente il protocollo. “Il pesce comincia a puzzare dalla testa”, fu il commento che iniziò a girare negli ambienti di regime a proposito delle scelte di Fermi.

NEGLI STATI UNITI DA PROTAGONISTA

Negli Stati Uniti Fermi si confermò come uno dei principali protagonisti della fisica mondiale. A Chicago realizzò la prima pila atomica, che aprì la strada alle future centrali a fissione nucleare. Si trasferì poi a Los Alamos dove fu uno dei protagonisti del progetto Manhattan per lo sviluppo della bomba atomica.

Fermi non sarebbe più tornato in Italia, se non per un paio di visite dopo la fine della guerra. Con quel viaggio a Stoccolma l’Italia perdeva un genio della scienza e si avvitava sempre più nella tragica spirale del fascismo e della guerra. Come nel caso di Marie Curie, la presenza alla cerimonia di consegna del Nobel si caricò di significati che rimarranno nella storia e che hanno contribuito ad accrescere l’aura di prestigio e rispetto che si deve a questo premio.

E come conclude Gabriella Greison nel suo articolo, che Bob Dylan non vada a ritirare il premio Nobel diventa un fatto di minore interesse.

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Fonte: http://www.chefuturo.it/2016/12/fermi-nobel-stoccolma/

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