Sono trascorse quattro settimane da quando ho fatto capolino a Roma per l’evento europeo Analytics Experience 2016, dedicato all’innovazione organizzato da SAS. Fra i big data, l’internet of things, e il mondo open source. E nonostante sia già arrivato l’ultimo mese dell’anno, esso ha portato suggerimenti, influenze, e stupore. Ciò con cui credo si debba osservare il mondo, sempre. Sarà stata la visita serale alla Cappella Sistina e ai Musei Vaticani; sarà perché alcune “cose” non le impari solo in aule universitarie e libri polverosi. Bisogna saper tendere l’orecchio e sperimentare. Passeggiare nelle lunghe gallerie, perdersi nell’ala b della location del convegno, ritrovarsi. Rimanere affascinati e riempirsi gli occhi, di storie. Unire il passato, vivendo il presente e aspettando il futuro; bello e timoroso allo stesso tempo. Far sedimentare incroci, immagini e luoghi. Riporre in loro il ricordo.
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ALLE ORIGINI DELL’INTERNET OF THINGS
Durante i tre giorni sono stati descritti argomenti molto tecnici. Si è introdotto il concetto di “dato”, che ammettiamo, per chi è estraneo o si sente tale, reca una sensazione strana. È solo per gli addetti ai lavori, s’intende. Deriva dal latino datum, esso è anche un fatto ed è la rappresentazione chiara della realtà. Elaborato e raccolto alla radice attraverso i calcoli, i quali ci permettono di osservare con una lente di ingrandimento e in prospettiva.
Come per tutti i nuovi percorsi, necessitiamo di orientamento e di iniziativa, tra speaker d’eccezione, ospiti e influencer internazionali. E così da qualche minuto di smarrimento ci si immerge verificando la propria conoscenza sull’Internet of Things grazie al keynote di Tamara Dull – Director of Emerging Technologies for SAS Best Practices. Si scopre che, forse, non si sapeva il dietro le quinte, che quel “modo di dire” dopotutto racchiude al suo interno ben tre parole: dati, device, connessioni. Il termine fu coniato nel 1999 da Kevin Ashton, padre, per l’appunto, dell’Internet delle cose, a partire da quanto di seguito leggete:
«If we had computers that knew everything there was to know about things – using data they gathered without any help from us – we would be able to track and count everything, and greatly reduce waste, loss and cost. We would know when things needed replacing, repairing, or recalling and whether they were fresh or past their best».
Ancora oggi non esiste una definizione unica, ma differenti punti di vista che si modificano per quale tipo di contesto viene applicato. Ma per certo il suo vero valore è dato dall’unione di dati e di analytics. Si stima, che entro il 2020, saranno connessi oltre 20 miliardi di dispositivi. Abbiamo trasferito nella tecnologia il nostro potenziale, la nostra memoria. Contano i passi giornalieri, ricordano le pillole da prendere. Qualcuno dice che essi non ci sostituiranno, ma implementeranno le nostre azioni. Sappiamo che ad oggi acquisiscono sempre più un ruolo attivo, grazie al collegamento alla rete comunicando efficacemente. Gli oggetti “smart” servono al consumatore per esemplificare azioni e annullare i confini in diverse probabilità di sfondi. Servono alle aziende che analizzano i dati ricavati con l’obiettivo di conoscere e valutare il comportamento online. Essi però possono essere anche degli enormi punti di domanda a cui gli esperti stanno ragionando per quanto riguarda temi come sicurezza e privacy, devono trovare ancora tutte le chiavi di lettura.
Tamara Dull – Director of Emerging Technologies for SAS Best Practices credits flickr.com
ABBIAMO BISOGNO DI PARTECIPARE
Diverso è riuscire a interpretare in modo ottimale comprendendo le persone che insieme fanno rete, che stanno in piedi dietro il banco da lavoro, e ne ricavano per gli altri un effetto pratico quotidiano. A partire da forme, alcune delle quali anche molto semplici e intuitive, alla creazione di qualcosa. Fare un passo indietro dunque, perché a volte ci dimentichiamo che gli incontri reali sono belli, e in fondo sono necessari per proseguire. Perché se non lavorassimo assieme sul binomio tecnico – consumatore allora lì ci renderemo conto, che senza delle vere prove su campo, tutto perderebbe efficacia. Ciò improvvisamente rende meglio la nostra idea. E non abbiamo bisogno solo di possedere strumenti efficienti. Ma anche di partecipare, sorridere, piangere, meravigliarci. Seguono così le parole di David Shing, Digital Prophet di AOL. Egli ci conduce in un viaggio, raccontando un Internet di persone e infine una rete di emozioni, l’elemento principale. Ciò che ci portiamo a casa, nello zaino. Anche nella statistica utile ma trasformata nella creatività, nella passione. Costruendo al fine di tutto un movimento più “open” e accessibile a tutti, in modo indistinto. Prendendo parte a ciascuna fase del processo in una stretta relazione tra l’utente finale e il creatore software.
“Creare nuovi valori, i quali devono essere nuove innovazioni condivise. “Are we ready?” domanda Jim Zemlin, Executive director di The Linux Foundation. La conoscenza avviene attraverso talk più brevi e networking nelle Breakout Session del mattino e del pomeriggio nella grande location del Marriott Park Hotel. Ricche di punti di vista e di case study di aziende internazionali dedicate al mondo del: machine learning, marketing analytics, social mining, risk, fraud, forecasting, data management, data science.
La cultura degli analytics? Probabile sia come un viaggio. E d’improvviso cambiano i programmi, da ciò che non avevamo considerato. Sfidi un problema, provi a trovare una soluzione. Lì nascono i nuovi incontri. Così come la tecnologia cambia il nostro comportamento, e solo dopo crea nuovi bisogni. Il domani è importante. In ogni azione che compiamo restituiamo qualcosa a qualcuno, involontariamente. Parliamo di statistica? Di processi? Di persone? Forse parliamo (anche) di ricordo: il cuore della memoria.
L'articolo La cultura degli analytics è un viaggio. Una rete di persone ed emozioni sembra essere il primo su Che Futuro!.
Fonte: http://www.chefuturo.it/2016/12/analytics-experience-2016-sas/
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