L’Italia passa dal 97° al 54° posto nella classifica del Right to Information (RTI) Rating, l’indice che si occupa di misurare l’accessibilità alle informazioni della pubblica amministrazione. Questo balzo in avanti sembra esser dovuto all’entrata in vigore del Freedom of Information Act, del maggio scorso. Il FOIA infatti stabilisce in buona sostanza la possibilità per chiunque di richiedere l’accesso ai documenti, gli stessi che fino a poco tempo fa rimanevano sotto chiave all’interno delle istituzioni.
Lo slancio del nostro Paese non deve però illuderci, facendoci accomodare su una poltrona avvolgente. La normativa italiana su anticorruzione e trasparenza è tra le migliori del mondo. Su questo non abbiamo dubbi. Quello che però ci deve preoccupare è la distanza fra i principi espressi in modo formale e l’applicazione degli stessi. L’Italia, se vogliamo, è soggetta ad un rischioso paradosso, per cui le leggi sono buone sulla carta ma non sono applicate o lo sono parzialmente.
La classifica di RTI Rating infatti non misura l’efficacia dell’applicazione della legge sulla trasparenza. Il dato che ci permette di risalire la classifica si riferisce esclusivamente quanto sia vicina agli standard internazionali.
Abbiamo fatto due chiacchiere con Claudio Cesarano, project manager di Diritto di Sapere, che ci tiene a sottolineare la portata del FOIA, con il riconoscimento di un diritto fondamentale. Oggi, infatti, è possibile per tutti domandare e le PA sono obbligate a rispondere entro 30 giorni. Un passo decisivo, ma non sufficiente: “grazie al FOIA – ci dice- oggi c’è un riconoscimento vero di un diritto che però le amministrazioni devono applicare”.
Anche per lui, quindi, qualche dubbio sull’attuazione c’è. Dei punti deboli ci sono e Cesarano li riassume in tre nodi cruciali. Il primo è quello posto dalle eccezioni che saranno definite entro fine anno dall’Autorità Nazionale Anti-Corruzione. “Si tratta dei casi in cui lo Stato potrà decidere di non rendere pubbliche alcune informazioni – ci spiega – ma per ora sono troppo ampie e non ben specificate”. Inoltre manca un bilanciamento che riconosca esplicitamente l’interesse pubblico come superiore e quindi, per esempio “se sospettiamo che un’azienda provoca un danno ambientale e vogliamo sapere il nome, dobbiamo poterlo avere senza che prevalga l’interesse economico. Il danno all’immagine che può subire l’azienda è chiaramente meno importante del danno arrecato ai cittadini”. Infine, manca il ricorso indipendente, gratuito e nazionale: abbiamo difensori civici ma non sono ovunque e sono depotenziati: “Si può ricorrere a queste figure solo se il diniego viene da un ente locale, ma se proviene da un ente centrale dobbiamo far riferimento al Tar”.
Il passo importante è stato fatto ed è stato trainato dalla società civile insieme con le associazioni aderenti alla campagna Foia4Italy. Eppure, il semplice diritto non è garanzia di trasparenza e il rischio del paradosso è sempre in agguato.
Fonte: https://www.transparency.it/foia-piu-trasparenza-ma-rischia-di-non-bastare/
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