sabato 4 febbraio 2017

Com’è Data Kitchen, il ristorante automatico di Berlino

L'area bar (Foto: Ilaria Ravarino/Wired)Sfoglia gallery6 immagini

Data Kitchen L'area bar (Foto: Ilaria Ravarino/Wired)

Data Kitchen
Data Kitchen L'area bar (Foto: Ilaria Ravarino/Wired)
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Data Kitchen La cucina (Foto: Ilaria Ravarino/Wired)
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Data Kitchen Un ordine (Foto: Data Kitchen)
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Data Kitchen Tablet a disposizione per gli ordini (Foto: Ilaria Ravarino/Wired)
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Data Kitchen La sala (Foto: Data Kitchen)
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Data Kitchen L'area dei touchscreen dedicati al cibo (Foto: Ilaria Ravarino/Wired)

Berlino –I tuoi prodotti ti attendono al Muro del Cibo, box N. Clicca qui per aprirlo“. Sono le 14:15 in punto quando entro nel Data Kitchen, il primo ristorante automatico d’Europa aperto dallo scorso dicembre a Berlino. Con una leggera vibrazione dello smartphone, e un tempismo quasi soprannaturale, l’app che ho installato qualche ora fa mi avverte che il mio pranzo è pronto. Ho cinque minuti di tempo per prelevarlo ancora caldo dal box e circa un’ora per non perdere l’ordine.

data kitchen
La conferma dell’ordine

Un uomo, che in un’altra epoca e in un altro luogo avrei trovato normale chiamare cameriere, mi indirizza verso l’alto monolito nero che domina la sala. È la parete che custodisce i pasti ordinati online dal nome vagamente biblico, “Muro del Cibo”, composta da venti scaffali lucidi come l’ossidiana e attraversati da mobili, bianchissimi pittogrammi digitali.

Lo scaffale N, che la app mi ha assegnato pochi minuti fa, è l’unica lastra del Muro a non essere opaca, ma trasparente. Sopra al vetro lampeggia il nome che ho inserito al momento dell’ordine, dietro al vetro c’è il mio pasto. Lancio la app e con un debole ronzio, subito inglobato dalla musica di sottofondo del locale, lo sportello si apre: poi, appena i suoi sensori percepiscono l’assenza del vassoio, “N” si richiude perdendo definitivamente l’effetto trasparenza.

Foto: Ilaria Ravarino/Wired
Il nostro ordine (Foto: Ilaria Ravarino/Wired)

Per meno di sette euro ho acquistato dal divano di casa una zuppa vegetariana al curry e coriandolo, ho deciso a che ora l’avrei mangiata, ho pagato online con la carta e a un minuto dal mio ingresso nel ristorante ho già tuffato il cucchiaio nel piatto.

Buon appetito“, mi sorride dal monolito l’uomo che fatico a inquadrare in una professione. Christian Hamerle, manager del Data Kitchen, tecnicamente è l’unico essere umano responsabile dell’accoglienza dei clienti: “Sono qui per rispondere a ogni domanda sul cibo, per soddisfare le esigenze degli ospiti, per risolvere problemi, anche solo per sorridere o dare il benvenuto“, mi spiega più tardi. “La componente umana, in un ristorante automatico, è fondamentale. La digitalizzazione va umanizzata“.

La sala (Foto: Ilaria Ravarino/Wired)
La sala (Foto: Ilaria Ravarino/Wired)

La parte automatica del Data Kitchen, ultima frontiera della ristorazione self service e parte di uno spazio cui appartengono anche una “Data Room” per il brainstorming creativo e una “Data Hall” per eventi e conferenze, è opera della SAP, multinazionale tedesca per la produzione di software specializzata in big data e soluzioni informatiche per le imprese (nonché arma strategica dichiarata nell’allenamento high tech della nazionale tedesca di calcio).

La SAP desiderava diventare più visibile, aprirsi al contatto con il pubblico“,  mi dice Hamerle “senza per forza dover aprire uno store brandizzato“. In partnership con SAP anche Ars Electronica Futurelab, l’azienda responsabile del design del Muro del Cibo, e Cosmocode, company sviluppatrice della app. La parte umana della sala è invece composta da tre persone in tutto per cinquanta coperti: oltre a Hamerle c’è un barista (la legge richiede pur sempre un controllo sulla somministrazione di alcolici) e un runner, incaricato di passare il cibo dalla cucina ai box.

A un mese dall’inaugurazione, Data Kitchen viaggia su una media di 40, 50 pasti al giorno, concentrati nella fascia oraria del pranzo. Dal periodo di test, iniziato a ottobre, il sistema ha servito 2500 pasti, e “solo in un caso il cliente non si è presentato“. L’80% delle persone che frequentano il ristorante sono i clienti abitudinari: i turisti che riescono a scovarlo, all’interno di un palazzo che nei primi anni ’20 fu sede del partito comunista tedesco, sono pochissimi. “Il nostro boss aveva in mente di aprire un posto speciale. E le cose speciali hanno bisogno di tempo per essere scoperte“. In ogni caso, Data Kitchen si trova qui.

Vecchia volpe del clubbing berlinese, dopo aver servito per anni la Berlino da bere, il boss Heinz “Cookie” Gindullis è venuto incontro, con il Data Kitchen, alle esigenze della Berlino china sulle scrivanie della workaholic Mitte. Come spiega Hamerle, “Quello che vendiamo è il tempo. Una ricerca ha dimostrato che il tempo medio a disposizione di chi ha una pausa pranzo non supera i 25 minuti, che vengono spesi per la maggior parte ordinando e aspettando il pasto in un ristorante. Eliminando l’ostacolo dell’attesa, la tecnologia restituisce alle persone il tempo perduto“.

Foto: Data Kitchen
Lo chef di Data Kitchen, Alex Brosin (Foto: Data Kitchen)

E anche se l’idea del self service automatizzato nasce negli Stati Uniti, con i ristoranti Eatsa, il Data Kitchen ha una sua particolarità assai europea: “Questo non è un ristorante per studenti. La nostra è alta cucina. Menù ricercati, ingredienti selezionati, prodotti stagionali. Il nostro chef ha lavorato con i cuochi stellati nei migliori ristoranti di Berlino. Il nostro motto è slow food, fast service”.

In cucina, oltre allo chef e kitchen star Alex Brosin, lavorano cinque persone, lavapiatti incluso. Ogni postazione qui è dotata di uno schermo touchscreen con il quale il cuoco e i suoi assistenti gestiscono le informazioni relative al piatto (tipologia dell’ordine, orario di arrivo del cliente), comunicano via mail al cliente lo stato di lavorazione del pasto e impartiscono al runner l’ordine di “caricare” il prodotto finito in un determinato scaffale.

Una volta nel box, e individuato dai sensori, il pasto viene segnalato via app al legittimo acquirente, il cui nome compare in trasparenza sul vetro dello scaffale.

E se all’improvviso dovesse incepparsi qualcosa nel processo? “Le uniche abilità richieste a chi lavora qui sono una personalità decisa e una solida esperienza nel campo della ristorazione“, racconta Hamerle “Se c’è un problema, ci penso io a risolverlo. Mi sono allenato per tre mesi con la società che ha progettato il Muro del cibo, prima che il ristorante aprisse, e in caso di bisogno so come intervenire. Ho comunque un paio di numeri a disposizione da chiamare nelle emergenze. Ma sono l’unico. Lo chef, per dire, non ha nemmeno uno smartphone“.

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Fonte: https://www.wired.it/lifestyle/food/2017/02/03/data-kitchen-berlino/

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